Nel saggio “Il sesso che verrà. Donne e desiderio nell’era del consenso”, l’accademica e scrittrice britannica Katherine Angel presenta un’indagine sull’idea di consenso e sui suoi limiti, così come sul piacere, sull’autonomia e sull’immaginazione nella sfera sessuale, sfidandoci a mettere in discussione tanti dei dogmi che ci imponiamo per liberarci dalle loro catene – Su ilLibraio.it un estratto, dedicato al “modello del desiderio reattivo”

Nel 1976, il filosofo Michel Foucault fece una promessa: il sesso che verrà domani sarà finalmente migliore. Il suo auspicio, però, appare ancora lontano dall’avverarsi. Perché il bigottismo e le dinamiche di repressione e di potere, che possono rendere il sesso insoddisfacente o indesiderabile, in molti casi sono ancora presenti. E l’opera di liberazione dalla morale borghese appare dunque incompleta: anzi, nuove catene si aggiungono ogni giorno.

A finire in trappola, ancora una volta, sono le donne, invitate a proclamare il loro desiderio in maniera inequivocabile, in nome del consenso.

Ad affrontare l’argomento, vasto e complesso, nonché attualissimo, in un saggio dedicato proprio alla sessualità femminile nel XXI secolo è Katherine Angel, accademica e scrittrice britannica, già autrice di Bella di papà (testo dedicato ai padri gelosi e iperprotettivi delle commedie romantiche, alle teorie della psicanalisi, alla letteratura e all’attualità, edito da Blackie Edizioni nella traduzione di Veronica Raimo e Alice Spano) e tornata ora in libreria con Il sesso che verrà. Donne e desiderio nell’era del consenso (Blackie Edizioni, traduzione di Veronica Raimo e Alice Spano).

Il testo presenta infatti un’approfondita e inedita indagine sull’idea di consenso e sui suoi limiti, così come sul piacere, sull’autonomia e sull’immaginazione nella sfera sessuale, costituendo una sfida aperta a tutti gli uomini e a tutte le donne, così da mettere in discussione i dogmi, anche quelli apparentemente sensati, che ci imponiamo. L’obiettivo dell’opera è quindi quello di mantenere finalmente la promessa fatta tanto tempo fa, contribuendo insieme alla sua realizzazione.

Copertina del libro Il sesso che verrà

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto:

Il modello del desiderio reattivo, e il modo in cui è stato assorbito culturalmente («le donne sono generalmente reattive»), mi innervosisce. Perché? Be’, per prima cosa, rischia di trasformare il desiderio sessuale in qualcosa a cui le donne devono aspirare – anche quando non lo vogliono. Essere ricettive al sesso, anche se provano poco desiderio, rischia di diventare una specie di dovere, quel tipo di dovere incoraggiato da programmi televisivi e varie riviste femminili, a cominciare dall’iconico Cosmopolitan, con i suoi consigli di «sexercise» e le ingiunzioni ostinatamente allegre a sperimentare per mantenere vivo l’interesse dell’uomo. Che il sesso fantastico non venga sempre naturale è un’intuizione utile, ma è soprattutto dalle donne, quasi solo dalle donne, che ci si aspetta che spendano tempo e risorse in questo genere di lavoro – il lavoro, come l’hanno chiamato in molti, dell’amore eterosessuale. [41]

Che si tratti di lavoro è sottolineato da innumerevoli manuali sul sesso. [42] Kevin Leman, nel suo manuale cristiano sul sesso, Sheet Music: Uncovering the Secrets of Sexual Intimacy in Marriage, scrive che si può fare sesso «per pietà, per dovere, per dedizione e senza averne davvero desiderio»; sì, potrebbe «sembrare una forzatura», ma «state agendo per amore». In The Multi-Orgasmic Couple: Sexual Secrets Every Couple Should Know, l’obbligo di fare sesso – per il bene della relazione – è esplicito: i lettori sono esortati a «sbagliare in direzione del sesso». E TheWhole Lesbian Sex Book scrive con approvazione di una donna che sceglie di adottare la «regola del non rifiuto» nella propria relazione; la partner che non desidera il sesso arriverà a desiderarlo a cose iniziate.

Ma se le relazioni si cementano grazie al sesso, e se lo scarso desiderio deve essere combattuto lavorandoci su – restando ricettivi, aperti al sesso anche quando non lo si vuole – come facciamo a distinguere tra quello che in una relazione è «lavoro» sensato e quella che è invece una inaccettabile pressione al sesso? L’enfasi sul mantenere una neutralità sessuale che, nel giusto contesto, potrebbe evolversi in eccitazione e desiderio può indebolire la convinzione di avere il diritto di rifiutare il rapporto sessuale? Non è che magari questo modello legittima le pressioni sul partner? [43]

Il linguaggio utilizzato per sostenere la causa del desiderio reattivo è molto eloquente. [44] Nel lavoro di Basson l’enfasi è sulla motivazione, sugli incentivi e sulle ragioni del sesso: le donne sono motivate al sesso principalmente da ragioni non sessuali – da «ricompense» o «guadagni» che non sono «strettamente sessuali» – come il desiderio di vicinanza emotiva, o il «bisogno di intimità». Partire da uno stato «sessualmente neutro» non solo «non è patologico », scrive Lori Brotto, ma è anche «probabilmente abbastanza normale per le coppie in una relazione a lungo termine»; la sua intenzione è quella di «normalizzare la mancanza di desiderio sessuale della donna all’inizio di un incontro sessuale». Basson, descrivendo il suo modello «incentivo-motivazione», sostiene (con una scelta di parole molto significativa) che la «eccitabilità» di una persona è la sua disponibilità a essere «spinta verso» il sesso.

Che le donne non partano dal desiderio – o che forse non provino desiderio in generale – si riflette nel linguaggio delle categorie diagnostiche. Secondo il quinto e attuale DSM, le donne non possono più ricevere una diagnosi di disturbo del desiderio sessuale ipoattivo, mentre gli uomini sì. Non esiste nel DSM una categoria per le donne che includa il termine «desiderio»: alle donne viene invece diagnosticato il Disturbo dell’interesse/eccitazione sessuale femminile (FSIAD). I criteri diagnostici per il FSIAD non includono semplicemente una riduzione dei pensieri erotici o delle fantasie, ma una diminuzione dell’iniziativa sessuale, e della reattività alle iniziative del partner. Un altro dei criteri diagnostici è «l’interesse per l’attività sessuale » (non il desiderio). Una donna, stando al DSM, non sembra possedere alcun desiderio sessuale che possa essere disturbato. Ovviamente l’inclusione nel DSM non è segno di emancipazione, ma nel manuale gli uomini hanno il desiderio mentre le donne hanno incentivi e motivazioni; gli uomini hanno disturbi del desiderio mentre le donne hanno disturbi dell’interesse e dell’eccitazione. Queste differenze semantiche parlano chiaro: il coinvolgimento delle donne nel sesso è più cognitivo, mentre quello degli uomini è più libidico. Le donne ragionano sul sesso, gli uomini lo vogliono. L’interesse delle donne per il sesso è meno, be’, sessuale.

Dobbiamo mettere in discussione i modelli di desiderio e riconoscere i contesti e le condizioni che permettono o inibiscono il desiderio. Ma è utile per le donne rinunciare al linguaggio del desiderio? Oppure rafforza un fenomeno già preoccupante, ossia l’ipotesi che il sesso per le donne sia soprattutto una questione di soppesare i propri interessi, mentre la sessualità degli uomini rimane inalterata nella forma di un bisogno profondo?

In Why Women Have Sex, la psicologa clinica Cindy Meston e lo psicologo evoluzionista David Buss si occupano di spiegare il sesso nelle donne. [45] Perché dunque le donne fanno sesso? (Raramente, se non mai, la domanda del titolo è posta rispetto agli uomini). La risposta di Meston e Buss è, be’, per ragioni di ogni tipo: per aumentare l’autostima; per rafforzare una relazione; per vendicarsi; per sentirsi bene; per provare piacere; per esprimere amore; per massimizzare la fedeltà del partner – tutte o alcune, non necessariamente in quest’ordine. (Basson la vede allo stesso modo.) Questo tipo di resoconti così inclusivi spinge il concetto di «ragioni» ai limiti dell’intelligibilità; la nozione stessa di «perché» diventa ridondante dato che ogni risposta è buona.

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E prima di tutto: il linguaggio delle «ragioni» è davvero il linguaggio giusto? È un linguaggio che interpella le donne come se fossero sempre in grado di fare valutazioni razionali, piuttosto che essere guidate da quel fenomeno strano e complesso che è la sessualità, e che negli uomini diamo per scontata. Si accorda con un’immagine della sessualità come esterna alla donna; come separata – se non sempre in opposizione – dalla sua individualità. Vede le donne distaccate dal regno del sesso, da cui entrano ed escono, impegnate in un’analisi costi-benefici del «sesso per altri scopi», quelli solitamente considerati più nobili per le donne: l’educazione dei figli, l’intimità, la vicinanza. Permette una visione del sesso come uno scambio di beni, una risorsa a cui le donne «rinunciano», rischiando di perdere una parte del proprio valore in cambio di qualcosa a cui attribuiscono un valore più grande. È una visione della sessualità femminile come un regno di compromessi e transazioni – una forma di comportamento conforme a uno scopo, burocratico e di servizio.

Tutto questo rischia di attingere al peggiore modello contrattuale alla base dei comportamenti coercitivi e prepotenti degli uomini. Dal pensare che una donna valuti i propri interessi e l’intimità che può ottenere in cambio, accettando di fare sesso, al ritenere che le donne debbano prestarsi al sesso se vogliono ricevere le cose che per loro hanno valore – il dono o la promessa dell’intimità – il  passo è breve. Questa visione della sessualità femminile non solo tende a legittimare l’aggressione sessuale maschile, ma aliena ulteriormente le donne dal proprio desiderio e dal proprio piacere.

Vedere la reattività – al contesto e agli altri – come una caratteristica essenziale della sessualità femminile, senza mettere ugualmente in discussione le nostre idee sulla sessualità maschile, fa emergere inquietanti cliché sugli uomini che, da parte loro, vogliono e ricercano il sesso, e le donne che dall’altra parte, dopo aver valutato i propri interessi non sessuali, possono decidere se stare al gioco. In un mondo in cui le donne che dicono di no al sesso vengono abitualmente accolte dall’incredulità di chi si vede negato un diritto e da incalzanti tentativi di persuasione, e le donne che dicono di sì al sesso vanno incontro al biasimo da un lato, e a un’ottimizzazione volta a scopi presumibilmente più nobili dall’altro, è problematico fare della ricettività un aspetto che definisce la sessualità  femminile, lasciando intatta l’idea di sessualità maschile come pulsione. Quello in cui gli uomini pretendono e insistono, e le donne devono farsi i conti, decidere e resistere, è uno scenario interamente al servizio di quegli uomini già convinti che il loro desiderio sia un diritto biologico, e che le donne, rispetto a esso, siano potenziali complici da dover persuadere. Vedere il desiderio delle donne come reattivo senza interrogare le dinamiche di potere tra i generi può trasformarsi rapidamente in una fantasia di coercizione che ha i toni dell’incubo.

[41] Thea Cacchioni, Big Pharma, Women, and the Labour of Love, University of Toronto Press, 2015.

[42] Vedi Kristina Gupta e Thea Cacchioni, «Sexual Improvement as if Your Health Depends on It: An Analysis of Contemporary Sex Manuals», in Feminism and Psychology, 2013, vol. 23 (4), pp. 442-458.

[43] Vedi Alyson K. Spurgas, «Interest, Arousal, and Shifting Diagnoses of Female Sexual Dysfunction, Or: How Women Learn about Desire», in Studies in Gender and Sexuality, 2013, vol. 14 (3), pp. 187-205; Katherine Angel, «Commentary on Spurgas’s “Interest, Arousal, and Shifting Diagnoses of Female Sexual Dysfunction”», in Studies in Gender and Sexuality, 2013, vol. 14 (3), pp. 206-216.

[44] Rosemary Basson, «Female Sexual Response: A Different Model», in Journal of Sex and Marital Therapy, 2000, vol. 26, p. 51; Lori Brotto, Better Sex Through Mindfulness: How Women can Cultivate Desire, Greystone Books,  2018, pp. 97-98.

[45] Cindy Meston e David Buss, Why Women Have Sex: Understanding Sexual Motivation from Adventure to Revenge (and Everything in Between), Vintage, 2010.

(continua in libreria…)

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