Il blocco dello scrittore è un’esperienza che facilmente può colpire la quotidianità di ognuno, a scuola, al lavoro e nel tempo libero. Non solo le autrici e gli autori alle prime armi, però, devono fare i conti con la “sindrome da pagina bianca”, anche molti grandi romanzieri contemporanei si sono trovati ad affrontare questa difficile (e talvolta spaventosa) situazione. Da Margaret Atwood a Haruki Murakami, da Joan Didion a Jonathan Franzen, ecco numerosi consigli d’autore su come superare il blocco dello scrittore, per ritrovare l’ispirazione e cambiare prospettiva sul problema…

Il blocco dello scrittore è un’esperienza che potrebbe essere capitata a tutti: di fronte a un tema da scrivere a scuola, a un compito in classe, a un brainstorming per proporre idee innovative, ecco che il cervello sembra incapace di trovare originalità e ispirazione, rimanendo bloccato in un vortice di pensieri improduttivi e sconnessi.

Anche chiamato “sindrome da pagina bianca“, il blocco dello scrittore consiste nella difficoltà a realizzare testi scritti di ogni tipo, dalla prosa alla poesia, dal genere giallo al romanzo di formazione.

E se è vero che questo problema ha riguardato (più o meno intensamente) ogni individuo nella sua quotidianità, è altrettanto comprensibile che anche le più grandi scrittrici e scrittori contemporanei abbiano dovuto affrontarlo, riuscendo infine a uscirne vincitori.

Proprio per via della loro grandezza, che li ha portati a realizzare opere letterarie famose e apprezzate, vari autori di talento, nel corso del tempo, si sono impegnati a consigliare giovani scrittori in erba, fornendo loro piccoli stratagemmi, tecniche fondamentali e modus operandi per la scrittura di un buon libro o racconto: così per esempio è nata la sezione dedicata ai “Consigli degli autori” sul sito del torneo letterario gratuito ioScrittore, o testi come Consigli a un giovane scrittore (Garzanti) del romanziere e sceneggiatore Vincenzo Cerami (1940-2013).

Abbiamo così raccolto le opinioni di alcuni degli autori più noti di ieri e di oggi sul tema del blocco dello scrittore: da Margaret Atwood a Haruki Murakami, da Joan Didion a Jonathan Franzen. Ognuno di questi romanzieri ha offerto la sua visione del fenomeno, contribuendo a renderlo meno spaventoso e insormontabile, e più simile a un visitatore indesiderato (ma temporaneo) della propria storia.

Possiamo far risalire una prima causa del blocco dello scrittore a un’assenza d’ispirazione, a una difficoltà nel trovare le parole giuste o addirittura un argomento di cui parlare. Nel 1899 lo scrittore e critico letterario francese Antoine Albalat affermava che “scrivere è una questione di ispirazione: e l’ispirazione non s’insegna” (dal saggio L’art d’écrire enseigné en vingt leçons). Oggi, l’evolversi della professione dello scrittore e il continuo cambiamento della società ci fanno sperare in un giudizio un po’ meno irremovibile: dall’esperienza di molti autori, infatti, possiamo trovare molti suggerimenti per ritrovare l’impulso a scrivere.

Partendo dai consigli più pratici, la scrittrice e poetessa canadese Margaret Atwood– autrice , tra i molti titoli, del celebre romanzo distopico Il racconto dell’ancella (Ponte alle Grazie, traduzione di Camillo Pennati) e de L’altra Grace (Ponte alle Grazie, traduzione di Margherita Giacobino) – nel 2010 proponeva sul suo blog un decalogo per il blocco dello scrittore. Dieci punti che corrispondono ad altrettanti comportamenti da mettere in pratica o a spunti per rivedere il proprio scritto con occhi diversi.

Tra i primi suggerimenti “uscite a fare una passeggiata, fate il bucato, o mettetevi a stirare. (…) fate uno sport, qualunque cosa che richieda concentrazione e comporti una ripetuta attività fisicae poi “prendete in mano il libro che rimandavate da tempo” e Scrivete, ma in qualche altra forma: anche una lettera, o una pagina di diario, o la lista della spesa. Lasciate che quelle parole fluiscano attraverso le vostre dita”.

A queste proposte seguono poi consigli per rinfrescare il proprio testo e ottenere nuova energia – meglio se dopo averci dormito su (punto quattro) e aver mangiato un quadretto di cioccolato con “almeno il 60% o più di cacao, organico, biologico” (punto cinque). Atwood suggerisce di cambiare il tempo verbale, la persona o il genere, e poi di pensare al libro come a un labirinto” di cui si è incontrato un muro, e quindi di ripercorrere al contrario il percorso fino al momento in cui si è presa la direzione sbagliata.

Il decimo punto – quello conclusivo – afferma: “non siate arrabbiati con voi stessi. Fatevi, anzi, un piccolo regalo di incoraggiamento”. Margaret Atwood non esclude però anche la possibilità che dopo aver seguito ogni punto non si riesca ancora a superare il problema, da cui il suo suggerimento: “iniziare qualcos’altro” e tornare alla scrittura in un secondo momento.

Quest’ultima sembra essere una strategia adottata da molti scrittori di fama mondiale: per esempio da Colson Whitehead,newyorkese autore de La ferrovia sotterranea (Sur, traduzione di Martina Testa) e de I ragazzi della Nickel (Mondadori, traduzione di Silvia Pareschi), vincitori del Premio Pulitzer per la narrativa, rispettivamente nel 2016 e nel 2020.

Il Louisiana Museum of Modern Art, museo danese di arte moderna, ha domandato a diversi autori di spiegare il loro rapporto con “la pagina bianca”: in quest’occasione, Whitehead ha raccontato come il blocco dello scrittore sia per lui un problema non ancora risolto pienamente: “Potrei non sapere come cammina o parla un personaggio, ma continuo a scrivere altre parti del libro e lo capisco più tardi, una settimana o due settimane o tre mesi dopo. (…) So sempre che se inizio un libro e rimango bloccato, devo fare qualcos’altro per un po’

D’altronde, come dichiarava lo scrittore Francesco Burdin (1916-2003), “Bisogna interrompere di tanto in tanto il flusso della scrittura. Per evitare che dal rubinetto scorra sempre la medesima acqua”: un consiglio che può risultare prezioso soprattutto in momenti di minore creatività, per ritrovare vitalità ed energia proprio grazie a una pausa.

Non è inoltre da dimenticare che anche gli scrittori più affermati, talvolta, possono avere battute d’arresto e ritmi meno serrati di scrittura. In un’intervista del 2005, Joan Didion (1934-2021) raccontava al The Guardian di spendere spesso “la maggior parte della giornata a lavorare su un pezzo senza mettere nulla su carta, stando semplicemente seduta lì, cercando di crearmi un’idea coerente“.

L’autrice e saggista statunitense, che nel 2005 terminava di scrivere L’anno del pensiero magico (Il Saggiatore, traduzione di Vincenzo Mantovani), libro in cui tentava di affrontare la morte del marito, mostra attraverso le sue parole quanto sforzo sia richiesto per realizzare la sua scrittura analitica, schietta e tagliente: “forse mi viene in mente qualcosa verso le cinque del pomeriggio, e poi lavoro per un paio d’ore e ottengo tre o quattro frasi, forse un paragrafo”.

Un’altra tattica per superare il blocco dello scrittore è quella di definire una routine ricca di attività positive per la concentrazione e per l’inventiva, cercando di attenersi con regolarità ai propri impegni, compresa l’attività di scrittura.

Per esempio Haruki Murakami, celebre scrittore giapponese (autore di numerosi romanzi e racconti), descrive così la sua giornata: “Quando sono in modalità scrittura, mi alzo alle quattro del mattino e lavoro dalle cinque alle sei ore. Nel pomeriggio corro per dieci chilometri o nuoto per 1500 metri (o entrambe le cose), poi leggo un po’ e ascolto un po’ di musica. Vado a letto alle nove di sera”. 

Alle spalle di questo programma è ovviamente indispensabile una grande forza di volontà, oltre che fisica (“scrivere un romanzo è come un’addestramento alla sopravvivenza”), ma parallelamente Murakami è convinto che sia la ripetizione stessa a essere importante, per creare una sorta di ipnosi: “ipnotizzo me stesso per raggiungere uno stato d’animo più profondo”, racconta l’autore.

A prescindere dal numero di chilometri di corsa, quel che è certo è che la costanza e l’essere fedele ai propri piani siano elementi indispensabili per uno scrittore, indipendentemente dal fatto che sia un esordiente o, al contrario, un nome già conosciuto.

La scrittrice e poetessa Joyce Carol Oates, autrice di decine di romanzi tra cui Blonde (La nave di Teseo, traduzione di Sergio Claudio Perroni) e Una famiglia americana (Il Saggiatore, traduzione di Vittorio Curtoni), riprende in parte la tesi di Murakami, sottolineando l’importanza di attività positive per il pensiero e la riflessione.

In occasione della sua intervista per il Louisiana Museum of Modern Art, infatti, l’autrice statunitense racconta di non aver mai davvero affrontato il blocco dello scrittore, perché prima di mettersi di fronte a una pagina bianca procede prima a riflettere: “Mi piace correre, camminare in solitudine, fare meditazione e pensare. Quindi, quando arrivo a una pagina bianca ho molte cose da dire. (…) Non scriverei mai prima, non penso sia una buona idea. (…) Pensi a lungo e poi scrivi quando sei pronto“.

Se quindi in alcuni casi si tratta di trovare il momento migliore per dedicarsi alla scrittura, in altri la chiave per riscoprire l’ispirazione può essere la scelta di un luogo adatto per scrivere: è questa l’opinione di Stephen King, uno tra gli scrittori più prolifici e riconosciuti a livello globale, che nel suo libro On writing. Autobiografia di un mestiere (Sperling & Kupfer, traduzione di Giovanni Arduino) dedicato al lavoro del romanziere, afferma: “Se vi costruirete il vostro rifugio personale, potrete metterlo in cima a un albero, sul tetto del World Trade Center o sull’orlo del Grand Canyon. (…) Il vostro può essere un angolo modesto (…), con un solo particolare davvero necessario: una porta che siate disposti a chiudere“. 

Il consiglio, quindi, è quello di cercare un posto in cui potersi dedicare appieno al proprio lavoro, che stabilisca dei confini precisi e dia soprattutto l’idea dell’impegno preso: “È una maniera per ribadire a voi stessi e al mondo intero che non state menando il can per l’aia: vi siete assunti un impegno della massima importanza.

Spesso però, anche organizzando al meglio il nostro tempo e ambiente di lavoro, la mente non sembra volerne sapere di collaborare. I pensieri sono vorticosi e frenetici, si sovrappongono l’un l’altro creando una gran confusione.

Per poter ricominciare a scrivere, quindi, manca un ultimo tassello: riuscire a fare i conti con le idee e le riflessioni dentro la nostra testa. Un concetto che Jonathan Franzen, intervistato per conto del Louisiana Museum of Modern Art, ha espresso molto chiaramente: La ‘pagina bianca della mente’ deve essere riempita prima di avere il coraggio di affrontare la vera e propria pagina bianca”.

L’autore di Le correzioni (Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi) e di Crossroads (Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi) spiega meglio la sua posizione con queste parole: “È quando hai un pensiero sotto la doccia, ti svegli nel cuore della notte e all’improvviso hai una frase. L’hai già scritto nella tua mente. È così che gestisci la pagina bianca”.

Essenziale, cioè, riprendendo anche le parole di Joyce Carol Oates, avere un pensiero ben costruito, prima di affrontare il processo di scrittura – non basta semplicemente mettersi di fronte allo schermo del computer con la volontà di iniziare una storia. Per questo possono essere utili schemi, mappe, appunti… o anche solo, come spiega Franzen, “un pensiero sotto la doccia”.

Un altro punto di vista illuminante è quello dello romanziere e saggista egiziano Alaa al-Aswany, autore di Palazzo Yacoubian (Feltrinelli, traduzione di B. Longhi) e di altri romanzi e racconti. Nell’intervista al Louisiana Museum of Modern Art, al-Aswānī spiega che la pagina bianca può diventare un’occasione preziosa, perché permette allo scrittore di scoprire ciò che può e (soprattutto) desidera dire: Avrai sempre un conflitto tra ciò che vuoi dire e ciò che potresti dire. La scrittura è questo conflitto: cercare continuamente di superare, di rimuovere le barriere che si mettono contro alla tua espressione”.

“Queste barriere si pongono davanti a qualsiasi scrittore”, spiega l’autore, che presenta la pagina bianca come “una sfida, per superare queste barriere e dire (finalmente) quello che vuoi dire“. Visto da questa prospettiva, quindi, il blocco dello scrittore rimane un’esperienza complicata e sfidante, dietro a cui si nasconde però un’enorme potenzialità creativa.

Lasciare libero il pensiero è, il più delle volte, una strategia efficace per raggiungere l’espressività più autentica e completa. Talvolta, però, la mente ci può ingannare, come spiega efficacemente Philipp Meyer (autore di Ruggine americana e de Il figlio, Einaudi, traduzione di Cristiana Mennella) nell’intervista per il museo danese: “Non credo che esista il blocco dello scrittore, è fondamentalmente insicurezza. È la tua critica interiore portata a un livello più alto di quello che dovrebbe avere in quel momento”.

Per concludere questa selezione di consigli, possiamo ricavare dalle parole di Meyer un ultimo suggerimento:  quello di ricordarsi, talvolta, di scrivere in piena libertà, lasciando scorrere i pensieri sulla pagina, senza rimanere bloccati nell’incertezza e nella paura di quello che sarà il risultato.

Quando inizi un lavoro (…), il tuo livello di critica deve essere abbassato a zero. Il punto è mettere le cose su carta, per permetterti di fluire. È solo scrivendo che scopri personaggi e idee…

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