Stile frammentato, frasi a effetto, ironia: come sono (e quali sono) i romanzi che raccontano internet e i social (per cui si sentono definizioni come “GIF Novel, Mail Novel, Instagram Novel, Internet Novel”)? Dai messaggi visualizzati e lasciati senza risposta, ai match su Tinder, dalle stories skippate, agli stati social più deprimenti, dalle mail ai post. Perché anche se può sembrare ridicolo, insignificante, o poco “letterario”, è questo che, per molte persone, significa essere vivi in questo momento. E la sfida della letteratura, come sempre, è provare a raccontarlo – Su ilLibraio.it un approfondimento che analizza come il digitale sia entrato nel mondo letterario (e viceversa), passando in rassegna alcuni titoli, tra cui “Eccomi” di Jonathan Safran Foer, “Parlarne tra amici” di Sally Rooney, “La valle oscura” di Anna Wiener, “Tempi eccitanti” di Naoise Dolan e diversi altri

GIF Novel, Mail Novel, Instagram Novel, Internet Novel: insomma, chiamateli come volete. Tanto avete intuito di cosa stiamo parlando. Di quei testi – letterari, ovviamente – in cui trovano spazio mail, chat, sms, post, tweet all’interno della narrazione. Una definizione precisa – canonica – del fenomeno ancora non c’è: il che forse è un bene, perché ci dà modo di esplorarli senza limiti, analizzandoli nelle loro particolarità.

Del resto non è semplice osservare un evento contemporaneo. Ci vuole tempo, distanza. Probabilmente è per questo che, in realtà, non sono molti i romanzi che rappresentano l’era digitale che stiamo vivendo.

Tra i titoli internazionali più celebri ci sono Eccomi di Jonathan Safran Foer (Guanda, traduzione di Irene Abigail Piccinini), oppure l’iconico Parlarne tra amici (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli) di Sally Rooney, in cui parte del libro è occupata proprio da scambi di mail da parte dei protagonisti (anche se l’autrice ha dichiarato in un’intervista al New Yorker di non aver ancora mai letto un “Internet novel” e, più in generale, di riflettere poco sulla rappresentazione della vita online in letteratura).

Non mancano esempi anche dal panorama italiano dove, pur con connotazioni molto diverse tra loro, emergono romanzi come Gusci (Einaudi) di Livia Franchini (scritto in inglese e tradotto da Veronica Raimo), Gli spaiati (Einaudi) di Ester Viola, Panorama di Tommaso Pincio, Adorazione (66thand2nd) di Alice UrcioloTutto chiuso tranne il cielo (Mondadori) di Eleonora Caruso, Odio (Mondadori) di Daniele Rielli, Anna sta mentendo (Giunti) di Federico Baccomo, solo per citarne alcuni.

parlarne tra amici

Anche Le ho mai raccontato del vento del Nord di Daniel Glattauer (Feltrinelli, traduzione di Leonella Basiglini), uscito ormai nel 2009 e definito “un romanzo epistolare nell’era di internet“, vede al centro una relazione instaurata proprio attraverso le comunicazioni che partono dalla casella di posta elettronica di Emmi Rothner – 34 anni, sposa e madre irreprensibile – per arrivare in quella di Leo Leike – psicolinguista reduce dall’ennesimo fallimento sentimentale -.

Le ho mai raccontato del vento del Nord

Insomma, non possiamo dire che manchino esempi virtuosi in merito. Eppure, al tempo stesso, anche da parte di molti autori, sembra essere diffusa la convinzione che integrare il linguaggio e la forma dei social media nel mondo letterario sia, in un certo senso, un po’ cheap.

Da un lato è possibile che questa percezione sia dettata dal fatto che, innegabilmente, il web ha avuto un grande impatto anche sul mondo delle narrazioni e dell’editoria. Prima di tutto perché, sempre più spesso negli ultimi anni, le case editrici vanno in cerca di autrici e autori direttamente online: dapprima attraverso i blog e i siti di scrittura (come Wattpad), poi attraverso i social Facebook, Instagram e perfino TikTok, adesso, si sta rivelando un’arena promettente da cui attingere nuove voci.

La loro scrittura – nata non per la pagina ma per la piattaforma di turno – si è identificata da subito come frammentaria, singhiozzata, diretta, tendente al lirismo. Una scrittura che deve tener conto dello spazio (in alcuni casi limitato) e del cambiamento delle abitudini di lettura degli utenti (sempre più rapide e volatili), mantenendo alcuni tratti dello stesso stile anche dopo l’approdo al cartaceo.

eccomi

Viceversa, sono stati diversi gli autori e le autrici che, partendo dal romanzo, hanno voluto sperimentare le vie del web: nel 2012 la vincitrice del Premio Pulitzer Jennifer Egan scrisse un racconto breve intitolato Black Box pubblicando un tweet per volta attraverso l’account del New Yorker. Due anni dopo anche Teju Cole, scrittore e fotografo di origine nigeriana, cresciuto negli Stati Uniti, ebbe un’idea simile: provò a scrivere un testo che raccontava lo stato di una persona in preda a un attacco cardiaco, retwittando i contenuti di altri follower coinvolti nell’esperimento letterario.

Quelli citati sono solo alcuni dei casi più conosciuti, ma non rappresentano di certo un’eccezione. E in effetti ha ragione Fabio Deotto quando su Wired osserva che qualunque innovazione in ambito comunicativo prima o poi finisce per influenzare nuovi modi di scrivere e raccontare (basti pensare all’influenza che hanno avuto il cinema e le serie tv). In questo senso le nuove tecnologie hanno prodotto una frattura difficilmente recuperabile: i social media hanno trasformato le argomentazioni in frasi ad effetto; Twitter ha fatto piazza pulita delle sfumature di significato, di molti aggettivi e dei termini più articolati; Facebook ci ha abituati a singhiozzare post invece che intavolare discorsi”.

Come detto, “frammentaria”, è l’aggettivo che ricorre più di frequente per descrivere questa nuova prosa, che rappresenta a suo modo una sorta di avanguardia, una nuova forma di rappresentazione della realtà. Per definirla, Christian Lorentzen ha recentemente usato l’espressione “realismo virtuale“, non solo per identificare una nascente corrente, ma anche per mettere a fuoco l’obiettivo di una nuova generazione di scrittrici e scrittori: raccontare gli effetti della tecnologia sulle nostre menti, trasformandoli in arte.

Al di là dello stile, infatti c’è poi un’altra questione: ovvero capire perché la descrizione di internet e dei social nei romanzi sia più difficile di quanto ci si potrebbe aspettare – motivo che spinge, più o meno inconsciamente, chi scrive narrativa a rifugiarsi o in ambientazioni passate (che non prevedono quindi le dinamiche del web) oppure, al contrario, in scenari futuristici e distopici. “In un’epoca in cui lo spazio della letteratura è stato ridotto dallo tsunami digitale, le risposte letterarie (più o meno convincenti) sono state di fuga dalla contemporaneità”, sottolinea Cristiano de Majo su Rivista Studio, in una riflessione dedicata a La vita segreta. Tre storie vere dell’era digitale di Andrew O’Hagan (Adelphi, traduzione di Svevo D’Onofrio).

La vita segreta. Tre storie vere dell'era digitale

Su LitHub, invece, Emily Temple racconta che spesso leggere narrazioni incentrate sul digitale ha un effetto straniante su di lei perché, dopo aver trascorso praticamente tutta la giornata online, ritrovare quella dimensione anche sulla pagina scritta può essere nauseante: “Mi ritrovo leggermente annoiata. Le descrizioni dei meme, per quanto poeticamente realizzate, non possono fare a meno di cadere un po’ piatte, come le spiegazioni di barzellette. Questi passaggi mi fanno pensare a come li leggerebbe una persona inesperta dell’internet contemporaneo: risulterebbero affascinanti o privi di significato?”.

Anne Wiener, La valle oscura, Adelphi

Il rischio, secondo l’autrice e giornalista, è di non riuscire a comprendere o, al contrario, di indugiare in descrizioni superficiali e, per questo, fastidiose. A questo proposito viene in mente La valle oscura (Adelphi, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra) in cui Anna Wiener ci racconta la sua esperienza di cinque nel regno dei big data. Ma il memoir – che indugia parecchio sull’universo digitale – riesce a non risultare mai tedioso poiché presenta un prerequisito essenziale che Temple, nella sua riflessione, mette in luce: l’ironia. Una narrazione su internet, per non annoiare, deve essere divertente.

tempi eccitanti

Anche se non si potrebbe esattamente definire La valle oscura un romanzo ironico, è vero che la voce narrante ha una certa verve, un ritmo sostenuto, una voce pungente e sarcastica. Così anche altri due testi recenti come Queenie, romanzo d’esordio di Candice-Carty Williams, e Tempi eccitanti di Naoise Dolan, presentano la stessa vena irriverente, mettendo in scena i disagi, le incomprensioni e i drammi della vita virtuale.

Dai messaggi visualizzati e lasciati senza risposta, ai match su Tinder, dalle stories skippate, agli stati social più deprimenti: perché anche se può sembrare ancora sciocco, ridicolo, insignificante, o poco “letterario”, è questo che, per molte persone, significa essere vivi in questo momento. E la sfida della letteratura, come sempre, è provare a raccontarlo.

Non è questo che sognavo da bambina

L’AUTRICEJolanda Di Virgilio lavora nella redazione de ilLibraio.it. È co-autrice, con Sara Canfailla, del romanzo d’esordio, Non è questo che sognavo da bambina (Garzanti, in libreria il 26 agosto).

Nel libro, in cui chat, mail e social entrano nella narrazione (del resto, la trama vede al centro la storia dello stage della protagonista, Ida, ed è ambientata in un’agenzia di comunicazione milanese), si racconta cosa significa diventare adulti oggi: le relazioni finite prima di cominciare, il senso di impotenza di fronte a un sistema lavorativo precario e ingiusto, la frustrazione di vivere in una città difficile, dove dicono che ci sia posto per tutti dimenticandosi di dire che, in quel posto, ci si sente molto soli.

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