In questi giorni di paura e confusione, in cui si deve restare a casa per proteggersi e per non alimentare la trasmissione di COVID-19, anche i libri possono esserci d’aiuto. Ecco i consigli di chi ogni giorno su ilLibraio.it racconta romanzi e saggi, scrittrici e scrittori. Spazio alle letture a tema, alla saggistica, ma anche a storie d’evasione, ai grandi classici e alla letteratura contemporanea. Con un invito a lettrici e lettori a condividere sui social del Libraio le letture scelte in queste ore di tensione

In questi giorni, a tratti surreali, di paura, confusione, divisioni, e in cui si deve restare a casa per proteggersi e per non alimentare la trasmissione della COVID-19, anche i libri possono esserci d’aiuto. Per diversi motivi, a seconda del tipo di lettura che si sceglie: da un lato ci sono saggi che permettono di informarci sulle cause e le conseguenze di queste epidemie, dall’altra scrittrici e scrittori di ieri e di oggi hanno scritto migliaia di romanzi e raccolte di poesie o racconti, che ci danno la possibilità di staccare almeno per un po’ la mente dal flusso di informazioni e commenti, più o meno autorevoli, legati all’emergenza coronavirus.

I libri, tutti i libri, ci tengono compagnia, sono occasione di evasione, ma anche di riflessione e di dialogo, con sé stessi e con gli altri. Ecco perché, noi de ilLibraio.it, che di libri ci occupiamo ogni giorno, abbiamo pensato che la cosa più sensata da fare in questo momento sia consigliarvi uno dei tanti libri a cui siamo legati. Inutile dire che ciascuna redattrice e redattore, ciascuna collaboratrice e collaboratore, ne avrebbe potuti indicare diversi. Ma questa vuole essere semplicemente un’occasione di condivisione, un modo per resistere, nel nostro piccolo, a questo caos. Perché non è vero che non abbiamo armi per proteggerci: le storie sono da sempre uno strumento in grado di salvarci.

Ecco dunque i nostri sintetici suggerimenti. Con un invito anche a voi, lettrici e lettori, a condividere sui social del Libraio quali letture state scegliendo in queste ore.

Con un pensiero speciale non solo a chi, medici, infermieri e personale sanitario, ormai da settimane non ha un attimo per fermarsi, vista la situazione negli ospedali, figurarsi per leggere; e con un pensiero anche a libraie e librai, e a tutte le lavoratrici e i lavoratori della filiera del libro che, come del resto avviene in ogni settore dell’economia, sono in apprensione per il futuro.

Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi

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Se dovessi scegliere un solo libro come compagno per questi giorni di isolamento, la scelta cadrebbe su Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi (Guanda, traduzione di Irene Abigail Piccininni) di Jonathan Safran Foer. Più ci penso, più mi sembra una buona idea: il filo rosso che attraversa le pagine del libro è la riflessione sul potere del singolo all’interno della società, la capacità di ogni individuo di innescare un cambiamento, anche attraverso le più piccole azioni quotidiane; la narrazione è costellata da esempi, momenti in cui il genere umano si è dimostrato capace di fronteggiare le difficoltà compiendo sacrifici: il risparmio delle risorse per mantenere gli uomini al fronte durane la guerra, spostarsi sul ciglio della strada per lasciar passare un’ambulanza, ogni gesto ha il potere di fare una piccola ma grande differenza, magari persino di salvare una vita. Certo, la riflessione di Foer verte sul cambiamento climatico, eppure non resisto alla tentazione di rileggere il libro sotto un’altra luce e, come spesso accade con la lettura, vi trovo conforto.

(Elena Asquini)

Il racconto dell’ancella

il racconto dell'ancella

Perché non approfittare del tempo in casa per leggere un romanzo che ormai è un classico contemporaneo e che, in quanto tale, rischia di andare a popolare la lista dei libri che diciamo di aver letto, mentendo? Anche grazie al successo della serie tv e del sequel I Testamenti (Ponte alle Grazie, traduzione di Guido Calza), pubblicato in contemporanea in tutto il mondo a settembre 2019, si potrebbe citare Il racconto dell’ancella (Ponte alle Grazie, traduzione di Camillo Pennati) senza averlo letto. Se dedicherete qualche ora del vostro tempo al libro di di Margaret Atwood, scoprirete un romanzo che, nonostante sia stato pubblicato nel 1985, ancora oggi fa riflettere sul patriarcato e sullo sfruttamento del corpo femminile. E leggetelo anche se non siete appassionati di distopie: l’autrice ha più volte sottolineato che gli scenari riportati nel romanzo sono ispirati a eventi realmente accaduti nella storia dell’umanità.

(Noemi Milani)

Harry Potter

Ricordate tutte le volte in cui, da bambini, avete desiderato diventare adulti? Nessuno di noi ha mai creduto a quella famosa frase: “Vedrai che quando lo sarai, non vorrai più esserlo!”. Quando si ha paura, a qualsiasi età, si torna bimbi. O, almeno, lo si desidera, ricordando malinconicamente quando, con un abbraccio di un nostro caro, tutto ci pareva risolvibile. È in momenti come quello che stiamo vivendo che dobbiamo tornare bambini, per ritrovare quel coraggio, quella incoscienza e quella fantasia propria dell’età dei sogni. Ogni volta che nella mia vita ho paura, salgo sull’Hogwarts Express e mi perdo nei meandri della Scozia, tra lezioni di Incantesimi e Maghi Oscuri da sconfiggere. Leggere – o rileggere – la saga di Harry Potter (Salani) ti ricorda sempre che la felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce…

(Désirée Favero)

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21 lezioni per il XXI secolo

21 lezioni per il XXI secolo

“Il vero antidoto è collaborare assiduamente affinché i paesi possano condividere informazioni in maniera efficiente, imparare dalle esperienze delle prime vittime, fidarsi l’uno dell’altro e, più importante di ogni cosa, possano essere d’aiuto l’un l’altro”. Yuval Noah Harari nella sua intervista alla BBC del 5 marzo, si sofferma sulla necessità di fare affidamento a quei valori umani che, da sempre, lungo la storia, ci hanno permesso di andare avanti. Il suo ultimo libro, quello che vi consiglio in questi giorni opachi, è 21 lezioni per il XXI secolo (Bompiani, traduzione di Marco Piani): un libretto di istruzioni per capire un po’ dell’umanità di oggi. Il percorso semplice con cui l’autore ci accompagna è una lucciola al buio, una piccola fiamma, capace di rivelare le forme del mondo che ci circonda. Perché conoscere sé stessi è il primo passo per capire quello che ci accade intorno.

(Giuseppe Cecere)

I Cieli

I Cieli

Ho letto I Cieli (Ponte alle Grazie, traduzione di Laura Berna) durante le vacanze di Natale. L’ho scelto casualmente tra una lista interminabile di titoli da spuntare. Mi ispirava la copertina onirica e dorata, leggermente in rilievo, su cui apparivano palazzi che sfumavano in un mare di nuvole, e quel nome così semplice e, allo stesso tempo, così evocativo, che rimandava a un mondo fantastico e irraggiungibile. Non immaginavo che leggere questa storia, in un tempo sospeso come quello natalizio, sarebbe stato semplicemente perfetto. La scrittura di Sandra Newman ha uno spirito fluviale, inarrestabile, che procede per associazioni e che non ha mai paura di essere troppo: troppo ambiziosa nel raccontare una storia d’amore che si svolge su due piani temporali, troppo romantica nel lasciarsi andare al sentimentalismo più sognante, troppo strana (aggettivo che, come nota Claudia Durastanti, appare ben trenta volte nel romanzo) nel costruire immagini incantate, euforiche e stranianti, che vi faranno volare molto lontano. Imparagonabile a qualsiasi altro libro abbiate letto finora.

(Jolanda Di Virgilio, redattrice ilLibraio.it & social specialist)

Spillover

spillover

In Spillover (Adelphi, traduzione di Luigi Civalleri) David Quammen, in passato autore di reportage per National Geographic, racconta la storia della diffusione di alcune zoonosi, malattie trasmissibili tra specie diverse – quindi anche dagli animali all’uomo – tramite un “salto interspecifico”, spillover appunto. Ogni capitolo è un reportage dettagliato su una particolare zoonosi che narra la storia della loro diffusione e le ricerche sul campo che se ne sono occupate, integrato con interviste e spiegazioni di natura scientifica. Tramite le parole di Quammen si viaggia in molti luoghi, come nelle foreste congolesi, le fattorie australiane e i mercati cinesi, seguendo le tracce lasciate da queste patologie, come detective alla ricerca di un colpevole. Un libro adatto a chi vuole conoscere per capire; perché, a volte, quando le cose si comprendono, fanno un po’ meno paura.

(Nadia Corvino)

Ritratto di gruppo con assenza

Ritratto di gruppo con assenza di Luis Sepùlveda

Il Coronavirus ha colpito anche me. Era il primo marzo scorso: Luis Sepùlveda positivo al Covid-19: anche la moglie ricoverata in isolamento in Spagna”. Per la prima volta dall’inizio dell’epidemia conoscevo personalmente un contagiato. Non un contagiato qualsiasi. Uno degli scrittori contemporanei più amati. Colui al quale feci la mia prima intervista televisiva. Avevo 25 anni, era il 2010. Presentava Ritratto di gruppo con assenza (Guanda, traduzione di Ilide Carmignani), una summa dei temi a lui più cari in cui si ritrovano la genesi del suo primo romanzo, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, gli animali umanizzati di Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare e l’ironia nei confronti del crollo delle ideologie di L’ombra di quel che eravamo. Ho rivisto quell’intervista e ritrovato il militante, il giornalista, lo scrittore dalle tante ferite inferte dal carcere, dall’esilio e dalla tubercolosi che nel libro definisce “un’affezione molto letteraria”. Rileggendo alcuni passaggi, risulta quasi sinistra l’allusione a quello che ora sta passando: “Un tipo con una vita movimentata come la mia, che era stato guerrigliero, marinaio e aveva praticato tante altre discipline antitetiche alla letteratura, doveva assomigliare a Indiana Jones invece di avere quell’aria da pensionato prematuramente acciaccato”. E ancora: “Sono anch’io un giornalista, dico, e mi sento come Don Chisciotte della Mancia, sconfitto infine, quando vede nel cortile di casa l’ignoranza che balla felice accanto al falò in cui bruciano i suoi libri”. Ma rasserena il fatto che un periodo tormentato e sospeso come quello dell’esilio lo abbia portato alla stesura del suo primo romanzo, l’inizio della sua lunga carriera. “In esilio, l’unica cosa che si ha è il tempo, un sacco di tempo”. Come in questi giorni di quarantena forzata. Che, ci auguriamo, saranno forieri di nuovi stimoli e nuovi racconti. Soprattutto per lui, “fragile eroe” e cantore del nostro tempo.

(Alessia Liparoti)

A sangue freddo

a sangue freddo

Quando mi chiedono di consigliare un libro tendo a proporre titoli che so potrebbero interessare a chi ho di fronte; cerco di informarmi sulle sue letture passate, sui suoi autori preferiti e, se sono sufficientemente in confidenza, non trascuro il momento particolare che sta vivendo. Ovviamente tutto questo non è sempre possibile, ma quando voglio andare sul sicuro, consiglio A sangue freddo di Truman Capote (Garzanti, traduzione di Alberto Rollo). A sangue freddo narra del quadruplice omicidio della famiglia Clutter, avvenuta a Holcomb, Kansas, il 15 novembre 1959. Capote ne leggerà un trafiletto il giorno successivo e deciderà di scrivere sull’accaduto. Non ne scrive e basta; Capote si inserisce nelle indagini, interroga i testimoni, intervista gli assassini. Dove non può sapere, ricostruisce. Con questo espediente, avvicina il grande pubblico a questioni che difficilmente potrebbe comprendere: se l’omicidio pare un gesto assurdo, figurarsi cosa può provare il lettore mentre si rende conto che, pagina dopo pagina, comincia a empatizzare con gli assassini.

(Martina Marasco)

Le nostre anime di notte

Le nostre anime di notte

Ci pensate mai a quante storie succedono tra le mura delle case, dietro le finestre accese, oltre le porte chiuse? Spesso crediamo che il mondo accada fuori – nei cinema, nei caffè, per le strade – quando a volte, invece, è sufficiente accoglierlo, senza bisogno di andare lontano. Le nostre anime di notte (NN, traduzione di Fabio Cremonesi) di Kent Haruf è una di queste storie: accade nel calore di un vecchio salotto, sotto le lenzuola e tra i fornelli di una cucina a Holt, nel Nebraska. Lì Addie Moore e Louis Waters, due anziani vedovi vicini di casa da sempre, imparano a osservarsi, conoscersi e mettersi a nudo, senza paure e senza giudizi. Ogni notte bevono birra e si raccontano, tenendosi compagnia in un mondo che, insieme, non fa più paura. “Anch’io voglio sapere tutto di te. Non abbiamo fretta, disse lui. Prendiamoci il tempo che ci serve”.

(Giulia Ceirano)

Tanti piccoli fuochi

tanti piccoli fuochi

Nella splendida casa dei Richardson, insieme dal college, quattro figli, un sano conto in banca, un sabato mattina brillano tanti piccoli fuochi, uno in ogni stanza. È l’apice di una serie di eventi che dividono Shaker Heights, sobborgo di Cleveland fondato dai quaccheri per essere una città ideale, un esempio di ordine e rettezza. Tra le pulitissime vie, tra le aule dell’eccellente scuola superiore, i Richardson sono il modello a cui aspira la società; e in quelle stesse vie arriva Mia, un’artista sempre in movimento, con la figlia Pearl. Elena Richardson e Mia, e le rispettive famiglie, si intersecano, si modellano a vicenda e in opposizione all’altra senza mai abbassare la guardia, fino a che un avvenimento esterno a entrambe non le porta a posizionarsi una volta per tutte. Tanti piccoli fuochi (Bollati Boringhieri, traduzione di Manuela Faimali) di Celeste Ng è un romanzo preciso e furente che incendia le tende alle finestre delle persone rispettabili, andando a svelarne i legami, gli squilibri, i segreti; i razzismi, i pregiudizi e le forze buie che sottendono anche – e soprattutto – la più perfetta delle comunità.

(Anna Maniscalco)

Walden – Vita nei boschi

Walden - Vita nei boschi di Henry Thoreau.

In una stagione di infinite quarantene, quando le distanze si autocertificano e le relazioni si misurano a spanne (di sicurezza), l’esodo naturale di Walden – Vita nel bosco (Feltrinelli, traduzione di Salvatore Proietti) – resoconto ambientalista del periodo di autoisolamento che il giovane Henry David Thoreau trascorse, tra il 1845 e il 1847, nella capanna di legno sul lago di Walden, Massacchussets -, sa restituire ai lettori, compressi nel perimetro dei cementi abitativi, uno scorcio letterario dal respiro sconfinante e liberatorio. E non solo per le vette descrittive da panorama bucolico: nel perseguire un sempreverde ideale di consapevolezza ambientale – avverso la frenesia dell’utilitarismo societario e contro il predominio incondizionato dell’uomo sulla natura – l’esperimento di Thoreau insegna a coltivare, nei vasti spazi dell’attesa e nelle sconfinate lande del silenzio, un’adattabilità creativa che, al pari di un istinto vegetale, sa attingere risorse vitali da qualsiasi zona di desertificazione. Anche la più rossa.

(Stefano Risso)

I detective selvaggi

bolano

Gli occhi schermati dietro occhiali vagamente potteriani, il sorriso di una vitalità che è una forma di innocenza e che è lo specchio di un’amarezza, la sigaretta: quello di Roberto Bolaño è per me il volto del coraggio. I detective selvaggi (Adelphi, traduzione di Ilide Carmignani) la sua ammiraglia. In cosa crede, gli chiedono, “nei ragazzini che scopano da ragazzini, nei guerrieri che combattono valorosi”, poi rimanda alla lapide di Borges: giammai con timore.  Davanti alla morte per lui sono la stessa cosa: Bolaño malato, appreso che morirà, si mette a discutere della possibilità di far l’amore con una dottoressa bassina: sconfitto, trova il coraggio di ridere in faccia alla morte (e, tra parentesi, è Letteratura + malattia: è la più bella riflessione sul senso della letteratura). Nei detective guarda in faccia il male assoluto, la virtù dell’innocenza, le uniche verità dell’amore e della morte; e spinge a trovare la bellezza, forse proprio perché – come scrive – è temporanea e finisce in un disastro. Che la letteratura serva a qualcosa Bolaño ne era certo, io non lo so, ma lo spero, che c’entri col coraggio ne è la più commovente dimostrazione. Quello serve sì.

(Gianluca Catalfamo)

L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello

L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello

“In caso di emergenza, rompere il vetro”.
Il mio vetro si chiama L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, di Oliver Sacks (Adelphi, traduzione di Clara Morena), un viaggio memorabile nella mente umana, quella malata, disconnessa, disorganizzata, che illustra magistralmente fin dove la realtà e l’irrealtà possono spingersi. Nelle emergenze, per spaccare un vetro con una certa convinzione, riporto la mente a ragionare su ciò che si perde, che si lascia andare o si trattiene nella memoria, sul potere dell’immaginazione e sulla comunicazione, a volte confusa. Attraverso il racconto di casi clinici e differenti lesioni encefaliche, il neurologo Oliver Sacks racconta la vita di ogni malato e dunque la quotidianità di ogni malattia. La prospettiva che apre a chi legge è quella diametralmente opposta alla realtà, ma, per opposizione, ci permette un ricongiungimento intimo con essa.

(Elena Marinelli)

Alla ricerca del tempo perduto

Alla ricerca del tempo perduto

Sette libri, 3724 pagine, 9.609.000 caratteri – pare sia il romanzo più lungo del mondo secondo il Guinness dei primati. Ma non è solo un romanzo: è un mondo, in cui si entra in punta di piedi, un po’ imbarazzati, come degli intrusi catapultati a sorvegliare le notti di un bambino nella campagna fresca di tigli di Combray, e da cui si è felici di non dover uscire più. Chi porta a termine l’impresa di leggere da cima a fondo Alla ricerca del tempo perduto (Oscar Mondadori, traduzione di Giovanni Raboni) di Marcel Proust – da intraprendere solo quando si ha del tempo da impiegare nella lettura, come nelle estati dell’infanzia, e come in questa pausa forzata dalle nostre abitudini che ci farà ricordare a lungo l’inizio del 2020 – ha il premio di non doversi mai più accomiatare da una folla di personaggi indimenticabili, e di non dover abbandonare mai davvero le città, le case, le spiagge, i grand hotel, i treni e le campagne che a ogni pagina si spalancano. Questo libro mastodontico è uno scrigno, e basta aprirlo per trovarsi in un mondo animato, tutto vivo; è un libro che rivela molti segreti sulla vita e sulla morte, e lo fa per epifanie, in un modo che rende impossibile dimenticarli.

(Ilaria Gaspari)

Il libro delle mie vite 

Il libro delle mie vite

Per affrontare un periodo di tale sgomento serve una storia che ci radichi nella realtà nel modo più umano possibile. È ciò che fa Il libro delle mie vite (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli) di Aleksandar Hemon: come da titolo, l’autore racconta le sue numerose vite, dalla Jugoslavia fino alla Chicago dei giorni nostri. La guerra (quella dei Balcani, l’ultima che l’Europa abbia avuto nei suoi confini) ha il beffardo potere di riassestare le priorità di ciò che conta sul serio. Non esiste banalità nelle vite di Hemon, per quanto siano comuni: il dolore, la noia, la perdita, lo sradicamento, ma anche l’ironia, la passione e la ricerca di una nuova identità culturale e di una voce (o meglio di una nuova lingua) per poter affermare il potere ultimo, salvifico della scrittura. Soprattutto c’è la speranza: altro non serve per ricordarsi della nostra innata capacità di rinascere senza sosta e di essere (e restare) umani, anche quando le regole vengono stravolte.

(Veronica Tosetti)

Un gentiluomo a Mosca

Un gentiluomo a Mosca (Neri Pozza) di Amor Towles

Un gentiluomo a Mosca (Neri Pozza, traduzione di Serena Prina) di Amor Towles è la storia di un esilio che somiglia molto a una quarantena: quella del Conte Rostov all’interno dell’Hotel Metropol a Mosca, come dice il titolo. Se i libri possono fare da balsamo o – mi si perdoni l’infelice analogia – da medicina, questo mi sembra adatto al preoccupante momento storico che stiamo vivendo. I motivi? Intanto perché tratta di un romanzo avvincente e divertente, ottimo per disattivare per qualche ora le notifiche push delle news. E poi perché personalmente ho sempre amato quel filone di storie, siano veicolate da romanzi, da film o da pièce teatrali, che si svolgono in un unico ambiente chiuso, come quelli che ci troviamo ad abitare in questi giorni. L’aspetto di queste narrazioni che ogni volta mi sorprende e mi coinvolge, è il rendermi conto della molteplicità di storie sempre differenti che possono crearsi. Consolatorio? Forse. Ma gli intrighi politici e le storie personali con cui si scontra tra i corridoi dell’Hotel Metropole un Conte Rostov estremamente insofferente alla prigionia valgono la consolazione.

(Matilde Quarti)

Stoner

Stoner

Prima del caos, prima del panico, prima della reclusione forzata e della desolazione crescente, c’è stata la calma. È arrivata all’improvviso, con un impatto inquietante ma, per qualche giorno, venato di sollievo: ha imposto alla metropoli un ritmo lento, fatto di misure e distanze, di mura domestiche e silenzi. Una pace apparente, dietro cui ognuno si è trovato a fare i conti con se stesso. Questo scorrere piatto mi ha ricordato Stoner, capolavoro riscoperto di John Williams (Fazi, traduzione di Stefano Tummolini). È il libro della solitudine per eccellenza, in cui niente succede e tutto si consuma privo di interesse, nell’itinerario quotidiano di un professore universitario che prevede solo due tappe: una casa che non sente sua, un lavoro che forse non lo è mai stato. Eppure, non si sa bene come, nel ritratto spietato di questa mediocrità c’è una bellezza struggente, che pulsa nella desolazione e si insinua più forte che mai, perché ha “tutto il tempo del mondo”. Lettura perfetta per ricordarci che anche il grigiore può splendere.

(Oriana Mascali)

I fratelli Karamazov

In questo periodo di silenzio e quiete prolungati potremmo riprendere in mano, o leggere se non l’abbiamo mai fatto, I fratelli Karamazov (Garzanti, introduzione di Fausto Malcovati, traduzione di Maria Rosaria Fasanelli) di Fëdor Dostoevskij. Lettura impegnativa, certo. Ma la situazione è occasione, in questo frangente più che mai. Il romanzo è la summa di tutto il pensiero dell’autore russo e leggerlo significa entrare in contatto con l’uomo che vaga nell’incertezza, nella follia, nello smarrimento. Un uomo che, rinnegato Dio, è egli stesso campo di battaglia tra il bene e il male. In particolare, ci farà bene soffermarci su quel gioiello nel gioiello che è La Leggenda del Grande Inquisitore dove il rischio, diciamolo subito, è quello di dare ragione al Cardinale il quale, nel dialogo con Gesù, delinea un’antropologia terribilmente convincente, che configura una visione dell’uomo che giustifica il totalitarismo. Per chi cercasse nella filosofia un conforto morale, consiglio le Epistulae morales ad Lucilium di Seneca. Il moralismo degli stoici (anche se Seneca è uno stoico sui generis) è da intendere in senso etimologico: indagatori di mores, di costumi, non banditori di una morale. Ci farà bene leggerlo per scoprire che i tipi da Coronavirus sulla scena in questi giorni terribili sono sempre esistiti.

(Antonio Sanfrancesco)

Chtulucene, sopravvivere su un pianeta infetto

sopravvivere

Chtulucene, sopravvivere su un pianeta infetto (Nero, traduzione di Claudia Durastanti e Clara Ciccioni) di Donna Haraway

Diamo per scontato che il mondo non se la stia passando bene: virus, catastrofi ambientali e un pessimo rapporto con le altre specie animali che vivono il pianeta. Davanti a tutto ciò ci si può far prendere dal panico oppure affidarsi a Donna Haraway e al suo manuale di sopravvivenza. Il libro, decostruendo e reinventando di continuo il linguaggio di ispirazione fantascientifica, ci insegna a vivere coraggiosamente nella Chtulucene, ovvero un momento storico che, in contrapposizione all’Antropocene, ci invita a vivere nel problema senza sconforto o indifferenza, e a reagire con response ‒ ability. Come nel gioco del ripiglino, in cui i fili vengono con le dita intrecciati e scomposti continuamente per cercare nuove figure: la “trama è nelle nostre mani”; spetta a noi trovare soluzioni inaudite e connesioni creative di cooperazione “generando parentele nell’imprevedibilità della parentela”.

(Martina Scalini)

Cuore di tenebra

cuore di tenebra Conrad

Congo, fine ’800. Una nave risale il fiume. Kurtz non è che una voce. Profonda perché buia: la tenebra del titolo è nel suo cuore, prima che in quello della foresta che narra. Il suo viaggio nell’Africa nera è una discesa agli inferi, in quell’animo umano insondabile e fragile che in questi giorni d’incertezza, spaventato, ci spaventa. Kurtz è un mercante d’avorio senza scrupoli, uno schiavista: è Male senza ragione, solitudine, prevaricazione dell’uomo sull’uomo. Anche Marlow, il narratore, è una voce, ma – forse – is a kind of light. Kurtz sceglie di entrare nella tenebra e non uscirne, Marlow si ferma al margine. Chi dei due sia salvo, non si sa. Joseph Conrad lo ha scritto in due mesi, intorno ai trent’anni, forse in risposta alla domanda posta da Dostoevskij: se Dio non c’è, l’uomo può solo difendersi dall’uomo. In giorni in cui noi tutti sembriamo nave senza nocchiero, Conrad ci guida spiegandoci che “per un marinaio non c’è niente che sia misterioso tranne il mare”. E che “la forza è solo un accidente derivato dalla debolezza di altri”.

(Amelia Cartia)

La peste e io. Tutti possono sopravvivere a tutto

La peste e io, di Betty MacDonald

Chi mi conosce sa che la positività non è una delle mie doti principali, quindi nessuno stupore che vi consigli un libro dal titolo indicativo per questi giorni: La peste e io, di Betty MacDonald (astoria, traduzione di Valentina Ricci). Il libro racconta la storia dell’autrice, colpita a trent’anni dalla tubercolosi all’inizio del Novecento, quando la malattia ancora non aveva cure, se non giacere a letto immobili per settimane. I pazienti non potevano leggere, né scrivere, alzarsi o ridere. Betty ne è uscita, e si è salvata grazie all’ironia, dote per me davvero indispensabile, anche nella negatività che mi contraddistingue. Il sottotitolo del memoir infatti recita: “Tutti possono sopravvivere a tutto”. Ecco, leggiamo queste pagine coraggiose e spiazzanti, capaci anche di divertire e cogliamone la lezione di vita: non negare la disperazione, il brutto, la sventura, ma accogliamoli con una risata, anche se a denti stretti.

(Lucia Tomelleri, redazione rivista il Libraio)

Non Lasciarmi

non lasciarmi

Non Lasciarmi (Einaudi, traduzione di Paola Novarese) di Kazuo Ishiguro è quel libro che non sai esattamente che cosa stai leggendo finché non arrivi a metà. E arrivato a metà, vorresti ricominciare daccapo per capire se hai capito bene, se c’erano indizi seminati qua e là che non hai colto, se il colpo di scena lo si poteva prevedere ma tu, distratto, non l’hai previsto. La risposta – detto da una che l’ha letto tre volte – è no, non c’è modo di venir fuori dall’incantesimo estetico ed emotivo di Hilsham, collegio sperduto nella campagna inglese, e dalle vite dei suoi studenti, così simili a tante altre. Un incantesimo destinato a infrangersi e a rivelarsi per ciò che è: una terribile distopia. Ma non senza l’autorizzazione di Ishiguro, bravo a dipingere una realtà a cui crediamo senza farci troppe domande (non a caso, Premio Nobel nel 2017), e così abile a narrare le vite di tre amici che di continuo si stringono, s’intrecciano e poi si lasciano, cercando di sfuggire alla paura più grande: restare soli.

(Sara Canfailla)

Follia

Come evadere? Leggendo un romanzo che ci parla di una “reclusione” di ben altro tipo: Follia, quello che è stato considerato il capolavoro di Patrick McGrath, uscito nel 1996 e oggi disponibile per Adelphi (traduzione di Matteo Codignola). Tutto il racconto è ambientato in un manicomio vittoriano, dove una giovane donna, Stella, moglie di uno degli psichiatri del centro, si ritrova a sopportare un matrimonio poco appagante e a crescere il figlioletto con sostanziale indifferenza. Qui, vuoi per la situazione-limite vuoi per l’effettiva attrazione, la protagonista si trova a provare una passione travolgente per un paziente. Poco importa che lui abbia ucciso la prima moglie, e sempre meno le interessa della sua famiglia, del rischio di suscitare uno scandalo o di mettere a rischio la sua totalità. McGrath riesce a coinvolgere noi lettori nelle spire di un sentimento irrazionale e (quasi?) patologico, e di certo fino alla fine del romanzo non penseremo ad altro. E se il romanzo vi è piaciuto, perché non passare ad altri titoli dello scrittore? Spider, L’estranea e Trauma sono solo alcuni dei romanzi psicologici che confermano la bravura di McGrath nel tratteggiare i doppifondi dell’animo umano.

(Gloria Ghioni)

Dissipatio H.G.

Dissipatio H.G.

Leggere in questi giorni Dissipatio H.G. (Adelphi) di Guido Morselli potrebbe essere un po’ un esorcismo e un po’ uno stimolo alla riflessione. Da un lato, l’immagine delle metropoli sbarrate e deserte si riflette nell’esercizio intellettuale spaventoso messo in scena dal romanzo: un uomo pensa di suicidarsi, poi desiste, ma nel breve lasso di tempo in cui ha provato ad attuare il suo proposito l’umanità è sparita. Tutti, proprio tutti se ne sono andati. Per il resto, il mondo è in ordine: restano le città e gli animali, gli areoporti e i boschi, ma delle persone nessuna traccia. Nessun segno soprannaturale e nessun cataclisma, solo l’unico superstite (che non dice mai il suo nome), a ritrovarsi da solo in un mondo completamente spopolato. E’ inquietante seguire le evoluzioni dei pensieri di questo misantropo, nel suo oscillare tra gioia e terrore, in un crescente squilibrio. Eppure la voce della solitudine che percorre tutto il romanzo non restituisce soltanto un senso di vuoto o di disperazione. Riemergendo da una lettura così gelida ci ritrova a pensare proprio a come non abbandonarsi alla desolazione, dall’isolamento ci si scopre a desiderare l’esistenza degli altri.

(Niccolò Bosacchi)

Il gruppo

il gruppo

In giornate come queste non solo i libri, ma anche le canzoni possono, perché no, distrarci, calmarci. Nel mio caso la lettura non esiste senza un accompagnamento musicale, anche se poi, lo ammetto, spesso la storia mi prende al punto da dimenticarmi dei suoni. Ci sono libri che sono una vera e propria colonna sonora: è il caso de Il Gruppo (Guanda, traduzione di Elisa Banfi), commovente romanzo di formazione dell’irlandese Joseph O’Connor. Se amate il rock, se avete nostalgia di certi anni ’80 pur non avendoli vissuti all’età giusta, se vi lasciate volentieri andare alla retromania, se suonate o suonavate in una band ma, soprattutto, se cercate un romanzo che vi ricordi quanto certe canzoni, nonostante il tempo passato e la vita che parrebbe avervi cambiato, restino ineluttabilmente parte di voi, godetevi questa lettura traboccante di citazioni musicali. A proposito, Il gruppo ha anche una playlist ufficiale su Spotity.

(Antonio Prudenzanoresponsabile editoriale ilLibraio.it)

 


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