“Si tende spesso a pensare che il grande pubblico sia superficiale e disinteressato ad argomenti alti o complessi. È una convenzione di pigrizia, si confonde la leggerezza con la futilità e la superficialità…”. Abbiamo intervistato Serena Bortone, protagonista del pomeriggio di Raiuno con “Oggi è un altro giorno”, in cui quasi ogni giorno ospita scrittrici e scrittori (senza che gli ascolti ne risentano, anzi…). La conduttrice e giornalista parla della sua grande passione per la lettura e di molto altro: “La cultura? Dev’essere utile e dev’essere uno strumento per le masse, non un privilegio per pochi. Altrimenti diventa erudizione”

Serena Bortone, protagonista del pomeriggio di Raiuno, è multitasking come Oggi è un altro giorno, la trasmissione che conduce tutti i giorni sulla rete ammiraglia della tv di Stato, alternando l’approfondimento serio e l’attualità con momenti pop, personaggi vintage e non poche scrittrici e scrittori: “La cultura può essere nazionalpopolare e quindi possono coesistere nello stesso programma il direttore d’orchestra Antonio Pappano e i Camaleonti. Li metto insieme perché il pubblico a casa vuole essere informato, riflettere e vuole anche divertirsi”.

Mentre chiacchieriamo telefonicamente, la conduttrice scende le scale, risponde a un’altra chiamata, prende un appuntamento, parla con il meccanico davanti casa (“Sere’, hai visto? Ce sta Al Pacino!”), e racconta di aver mandato una troupe a curiosare sul set di House of Gucci, il film, diretto da Ridley Scott, che stanno girando sotto casa sua a Roma, dedicato alla saga della maison di moda, con Lady Gaga nelle vesti di Patrizia Reggiani.

Cresciuta a Raitre, alla scuola di Angelo Gugliemi, da settembre Bortone è passata a Raiuno per occupare la fascia pomeridiana: “Un cambiamento non da poco”, racconta, “ho sempre trattato le hard news: politica ed economia. Confesso che avevo non pochi dubbi, ma poi mi sono fidata del direttore Coletta, e ho fatto bene”.

Missione compiuta?
“Direi di sì. È stata una vera scommessa. Poteva andare malissimo e invece gli ascolti sono ottimi e il pubblico di Raiuno si è affezionato. Non era scontato in una fascia complessa, la più difficile della rete”.

Nella sua trasmissione c’è un po’ di tutto: i grandi scrittori, i personaggi dello spettacolo, i ministri e il campione de L’Eredità, Massimo Cannoletta.
“Sono una persona molto curiosa, onnivora, non ho mai letto un solo tipo di libri o guardato un solo tipo di film. Cerco di appassionarmi a tutto, che è poi il senso del giornalismo. La storia non è fatta solo di generali o di prìncipi, ma degli artisti che li hanno dipinti, dei saltimbanchi che popolavano le corti, di chi si è inventato la lingua e ne ha permesso l’evolversi, è fatta dagli amori che si raccontavano nelle piazze. Tutto è Storia e tutto può essere raccontato attraverso le storie”.

Ha portato la letteratura nel tinello di molti italiani. Tanti candidati al Premio Strega sono passati dal suo salotto.
Jonathan Bazzi o Nicola Lagioia credo non si fossero mai visti a quell’ora su Raiuno. Quasi ogni giorno abbiamo uno scrittore: Edith Bruck, Silvia Avallone, Donatella di Pietrantonio, Alicia Giménez Bartlett, Teresa Ciabatti, Maria Grazia Calandrone, Antonio Monda, Gaia Servadio, Giuseppe Catozzella, l’editrice Elisabetta Sgarbi, Gianrico Carofiglio, Emma Dante… e vanno bene anche negli ascolti”.

Non è un rischio parlare di libri in una rete generalista?
“Si tende spesso a pensare che il grande pubblico sia superficiale e disinteressato ad argomenti alti o complessi. È una convenzione di pigrizia, si confonde la leggerezza con la futilità e la superficialità. A me piace una televisione di storie, e questo vale sia quando intervisto il grande autore in lizza per lo Strega sia quando intervisto Rita Rusic, che racconta la sua storia di profuga dall’Istria. Ovviamente bisogna sempre trovare la chiave giusta per entrare nel cuore delle persone”.

Insomma, si può far cultura nel pomeriggio di Raiuno.
“Mi scrivono centinaia di persone al giorno e purtroppo non riesco a rispondere tutti. Molti mi fanno i complimenti, perché grazie ai contenuti della trasmissione imparano tante cose nuove. È commovente. Questo, non dimentichiamolo, è il compito storico del servizio pubblico. Altri mi scrivono per dirmi che li aiutiamo a non sentirsi soli, e anche questo è molto importante”.

Molti scrittori, oltre ai propri libri, raccontano anche il loro privato.
“Sì. Sono una grande lettrice, mi è venuto quasi naturale raccontare i protagonisti della letteratura. Avendo fatto l’autrice televisiva per tanti anni, so bene che a un conduttore devi far fare quello che ama. Sono una persona che non sa fingere, sia nella vita sia sul lavoro. Ho detto: ‘Proviamoci’. È andata bene. L’intervista a Edith Bruck (sopravvissuta ad Auschwitz e autrice de Il pane perduto, ndr) è stata una delle più commoventi della mia vita. Maria Grazia Calandrone, che ha scritto Splendi come vita (edito da Ponte alle Grazie e nella ‘dozzina’ del Premio Strega, ndr) che è venuta due volte in trasmissione”.

Come mai?
“Il suo libro è una lettera d’amore alla madre adottiva ma, nello stesso, ripercorre la sua storia del suo abbandono: fu lasciata a Villa Borghese dalla madre e dal compagno accompagnata solo da una lettera in cui la affidavano alla bontà degli altri. Entrambi, infatti, avevano lasciato il tetto coniugale per l’amore reciproco, che all’epoca era un reato, inseguiti dallo stigma sociale e impossibilitati a vivere, alla fine si suicidarono. Dopo il suo racconto così forte e coinvolgente ha ricevuto migliaia di messaggi dai telespettatori e tra di loro anche la sindaca del paese molisano di cui era originaria la madre naturale, perché vuole fare qualcosa per ricordare e onorare questa donna dal destino tragico. L’Italia ha delle sacche di risposta che, a volte, non immaginiamo e, quindi, è tornata la seconda volta per raccontare le reazioni di solidarietà suscitate dalla sua testimonianza”.

Nella dozzina dei libri finalisti dello Strega di quest’anno l’elemento autobiografico e del memoir tende a prevalere. È questa la chiave per avere successo anche sul piccolo schermo?
“La scrittrice Toni Morrison ha detto in un’intervista a Fran Lebowitz: ‘Perché scrivo? Perché altrimenti avrei solo la mia vita’. Noi che facciamo televisione, raccontando storie ci facciamo veicolo delle vite degli altri e consentiamo loro di uscire dal privato e avere una valenza universale. Anche gli scrittori, con i romanzi, fanno la stessa cosa. È ovvio che una storia personale in questa fascia oraria funziona meglio rispetto a un romanzo di fantascienza. Per esempio, con Nicola Lagioia, ho parlato del suo libro, La città dei vivi, che racconta un crudo fatto di cronaca con grande sensibilità, il caso Varani, che ha scosso l’opinione pubblica”.

Adesso cosa sta leggendo?
Sigmund Freud nel suo tempo e nel nostro di Élisabeth Roudinesco. Sono appassionata di psicanalisi. Il narcisismo di Alexander Lowen è uno dei libri che considero più formativi, insieme al Secondo Sesso di Simone de Beauvoir. Di recente, ho letto Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé di Alice Miller”.

Che tipo di lettrice è?
“Vado anche a periodi. In una fase della mia vita leggevo molti saggi sulla musica, ho comprato e letto tutto quello che trovavo di e su Mozart, tra cui il fondamentale Il teatro di Mozart di Stefan Kunze. Poi è stata la volta del cinema: Hitchcock, Truffaut, Billy Wilder. Negli ultimi quindici anni regna la politica: L’audacia della speranza di Barack Obama è un grande testo, indipendentemente dalle proprie posizione politiche. Vado avanti? Perché se vuole sapere tutte le mie passioni letterarie non basta una giornata (ride, ndr)”.

Abbiamo tempo. Il suo libro della vita?
Guerra e pace di Tolstoj, perché dentro c’è tutto. Ha la robustezza di un racconto epico, che però è anche molto cesellato. In suo onore, uno dei miei gatti si chiama Pierre, come Bezuchov”.

Addirittura. E gli altri libri?
“Vado per autori. E cito solo i primi che mi vengono. Ho letto tutto di Jane Austen, Philip Roth, Ágota Kristóf, Jonathan Franzen. Ancora: Salinger, Dorothy Parker, Edna O’Brien. Amo molto la letteratura israeliana, la mia ultima passione è Eshkol Nevo. Tra gli inglesi, Somerset Maugham, raffinato indagatore di anime, e Graham Greene. Adoro José Saramago: Cecità è uno dei testi più intensi e sconvolgenti che abbia mai letto. Anche se Furore di Steinbeck è il libro su cui ho pianto di più, uno dei finali più emozionanti della storia della letteratura”.

Molta narrativa americana.
“Sì. Di John Fante, per esempio, adoro la vitalità e la grandissima ironia. Mi piacciono i noir, il preferito è Jim Thompson, e i trip distopici di Philip Dick. A sangue freddo di Truman Capote mi ha devastata, è la rappresentazione della pietà umana come necessità, anche verso gli assassini. Le benevole di Jonathan Littell è un altro libro epocale, una vera discesa negli inferi. Mi appassionano gli scrittori che indagano nelle nebbie dell’animo umano, negli abissi e le profondità più oscure”.

Poco spazio per il romanticismo…
“Sì, solo libri terribili. Ah, dimenticavo: nel cuore ho anche Preghiera per Černobyl’ di Svetlana Aleksievic”.

In un’intervista ha affermato che da adolescente è stata molto colpita da don Milani.
“Quando ero ragazzina mia madre mi diede un libro, I contestatori, che conteneva L’obbedienza non è più una virtù di don Lorenzo Milani, gli atti del processo subito per aver sostenuto l’obiezione di coscienza, che allora era un reato. Mi colpì molto il coraggio di avere un rigore che trascende il conformismo e il moralismo dominanti: ognuno di noi nella vita deve avere un faro che lo guidi e può non coincidere con il comodo qualunquismo dei benpensanti. Amo anche Lettera a una professoressa, perché lì c’è scolpita l’idea che attraverso la cultura è possibile rompere le sacche di esclusione sociale. Per questo mi appassiona poter regalare al pubblico del pomeriggio di Raiuno dei contenuti di cultura che spesso sono stati considerati, sbagliando, una riserva per pochi eletti. Se perde il suo carattere popolare, la cultura non serve più”.

E invece?
“Dev’essere utile e dev’essere uno strumento per le masse, non un privilegio per pochi. Altrimenti diventa erudizione”.

Lei è credente?
“Sì, ho avuto una formazione cattolica, mia madre era catechista”.

 Ricapitolando, se dovesse andare su un’isola deserta che libri si porterebbe?
“Che angoscia. Come si fa a fare una lista?”.

Ci provi.
Guerra e Pace, Orgoglio e pregiudizio, Il Vangelo secondo Gesù Cristo perché ha delle pagine sull’amore potentissime, Freedom di Franzen, Les Liasons dangereuses di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, La trilogia della Città di K di Ágota Kristóf, Istanbul di Pamuk, e tutti i racconti di Guy de Maupassant, così almeno ho un bacino vasto da cui attingere”.

Ma legge tutto su carta?
“Pur avendo il Kindle, che è comodissimo quando viaggio, ho la casa piena di libri. Non sono un’integralista della carta, però, se a un libro ci tengo particolarmente, lo compro e lo metto in libreria. Un libro, per il fatto stesso di averlo fisicamente con sé a casa, comunica qualcosa anche se uno non lo hai mai letto”.

 Ha intenzione di scriverne uno?
“L’ho fatto nel 2010 con Mariano Cirino: Io non lavoro. Storie di italiani improduttivi e felici (edito da Neri Pozza, ndr) esperienze vere di uomini e donne che non hanno mai voluto lavorare in vita loro. Avessi tempo sì, mi piacerebbe, scriverne un altro. Ho anche abbozzato alcune idee ma ho pochissimo tempo e poi quando vedo tutti i libri che devo ancora leggere dico che sarebbe un atto di presunzione”.

Ogni giorno su Instagram pubblica la frase di un autore. Da dove nasce quest’abitudine?
“Da ragazzina tutte le volte che leggevo un romanzo mi appuntavo le frasi che mi avevano colpito. A casa ho interi blocchi di appunti, e ora ho deciso di pubblicarne una al giorno”.

Le piacciono le serie tv? Cosa guarda?
“Una notte d’amore è un libro letto in meno, diceva Balzac. Allora è meglio una notte d’amore (ride, ndr). Diciamo che nella scala di priorità ci metto una notte d’amore, un buon libro e solo dopo una serie”.

I podcast?
“Nemmeno. Non sono radiofonica, forse è un fatto d’abitudine”.

 C’è qualche conduttrice o giornalista a cui s’ispira?
“Tanti e nessuno, in tv vinci se sei te stesso, copiare non serve. Coltivo l’empatia e spero che questo al pubblico arrivi”.

 Il suo futuro professionale? Si fa il suo nome per il prossimo Sanremo.
“Ma no, non esageriamo. E comunque io vivo nel presente: non guardo mai troppo né al passato, per non farmi imprigionare dalla nostalgia, un sentimento che non mi appartiene, né troppo al futuro. La vita riserva sempre sorprese, l’importante è non esserne spaventati e affrontarle con umiltà e attenzione. Il grande direttore d’orchestra Carlo Maria Giulini diceva a una cantante lirica che aveva fretta di debuttare: ‘Meglio un anno dopo che una settimana prima’. Ecco, questo è un mio motto”.

A Quelli che il calcio Barbara Foria fa la sua imitazione. Le piace?
“È molto buffa e mi fa ridere. So che piace e quindi sono contenta di aver portato fortuna a un’ottima professionista come Barbara”.

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